L’esperienza dello spazio attraverso le ultime scoperte delle neuroscienze

Quando osserviamo lo spazio di un interno di architettura ci vengono trasmesse delle sensazioni. In maniera inconscia e del tutto intuitiva elaboriamo giudizi su alcune cose come: il comfort di una maniglia o di un corrimano, la proporzione dell’alzata e della pedata di un gradino, la consistenza del materiale del pavimento, la risonanza acustica o l’atmosfera visiva di una stanza, la manifattura di un tessuto, l’odore dei materiali, la presenza di luce naturale.

Si rendono manifesti dei pregiudizi che noi abbiamo su: materiali, relazioni spaziali, proporzioni dimensionali, scala, modelli, ritmi, valori tattili, che sono esperienze archiviate nella nostra mente.

In pratica il nostro cervello riceve stimoli sensoriali a cui risponde emotivamente prima di iniziare ad elaborare razionalmente.

Così, ad esempio se camminiamo in un corridoio stretto con il soffitto basso procediamo quasi accovacciati, se entriamo in uno spazio ampio distendiamo testa e torace e respiriamo profondamente.

Se siamo costretti a lavorare in uno spazio angusto ci sentiamo intrappolati e anche arrabbiati, mentre se ci immergiamo  in uno spazio riempito di luce naturale, e ad esempio aperto un panorama naturale da una finestra, proviamo una sensazione di profondo piacere.

Muovendoci nello spazio succede anche che la nostra attenzione sia rivolta principalmente a ciò che rientra nel nostro campo visivo centrale (che è quello immediatamente di fronte a noi e compreso tra le nostre braccia).

Tuttavia la nostra visione periferica (che si estende per le aree laterali) riveste un ruolo fondamentale poiché permette di farci percepire la nostra presenza nello spazio, raccogliendo informazioni sull’intorno.

Ma quando siamo in un ambiente con luce offuscata, dove la nostra visione periferica è ridotta ci affidiamo maggiormente al tatto e all’udito ed affiniamo tutti i sensi meno che la vista.

Sappiamo inoltre che spazi rumorosi o sovraffollati stimolano il sistema nervoso centrale alla produzione di catecolamine (adrenalina e noradrenalina), gli ormoni dello stress che, interagendo con il nostro sistema nervoso simpatico,  alterano il nostro metabolismo, aumentando le pulsazioni cardiache, la sudorazione “nervosa” e la pressione sanguigna.

La fruizione dello spazio architettonico coinvolge tutti gli organi sensoriali, anche se la vista può avere una dominanza tra tutti agli altri.

Quando guardiamo il mondo esterno, con tutte le superfici e le forme che lo definiscono, cogliamo immediatamente le proprietà fisiche che esso possiede, confrontandole con ciò che la memoria ha archiviato, e tralasciamo inizialmente le altre qualità puramente visive.

Valutiamo, ad esempio, se la superficie sia orizzontale, piatta, estesa e rigida, piuttosto che il colore o la trama che possiede. Immediatamente questa visione genera la possibilità di camminarci sopra.

Questo processo, detto “effordance”, ci relaziona al mondo che ci circonda, suggerendoci subito le possibilità di motilità che con esso possiamo stabilire: camminare, arrampicare, strisciare, nuotare, colpire, se ciò che vediamo è “collegato” alla Terra; afferrare, portare, maneggiare, lanciare, ecc., se si tratta di elementi “scollegati”.

Negli anni ‘90 sono state fatti degli importanti studi nel campo della neuroscienza, riguardo alla percezione cognitiva.

Si è scoperto che quando osserviamo un oggetto si attivano dei neuroni nel nostro cervello che stimolano il movimento (principalmente mano e bocca). Sono i neuroni “specchio”, che si azionano sia che il movimento sia eseguito, sia che venga solamente osservato.

É stato studiato come la visione di alcune immagini riproducenti i “tagli” di Lucio Fontana o alcune opere di action painting di Franz Kline stimolano i neuroni “specchio” del movimento della mano, come a voler riprodurre l gesti con cui sono state eseguite queste opere.

Concetto Spaziale Attese, 1959, Lucio Fontana

Painting Number 2, 1954, Franz Kline

Alcuni manufatti artigianali, frutto della lavorazione del legno, del marmo, della pietra, dei metalli o delle pelli, suscitano delle emozioni proprio perché in essi si leggono i segni della lavorazione e delle tecniche costruttive.

Un materiale architettonico attiva una parte del cervello deputata al tatto. Simuliamo visivamente il tocco della superficie con le nostre mani, ed allo stesso tempo inaliamo il suo odore, cogliamo tracce del suo comportamento acustico, avvertiamo la sua temperatura.

Così una tessitura muraria può fornirci delle sensazioni di morbidezza e calore, semplicemente perché esperiamo l’atto di toccarla mentre la osserviamo; e la sua sola visione può anche ricordarci un odore o innescare un processo che coinvolge aree cerebrali legate ad altri organi sensoriali (sinestesia sensoriale).

Prestiamo molta attenzione ai materiali che toccano il corpo, per questo spesso i corrimano delle scale o le maniglie delle porte si avvolgono con la pelle, o gli arredi fissi vengono rivestiti con tessuti imbottiti. Per lo stesso motivo, nelle nostre case preferiamo camminare a piedi nudi su un rivestimento in parquet, o ricopriamo le pareti di ambienti più intimi, come le stanze da letto, con boiserie in legno.

In generale prediligiamo materiali naturali come: il legno, il marmo, la pietra, i mattoni, i metalli, le pelli, i tessuti, proprio perché procurano sensazioni tattili, anche solo mentre li guardiamo.

Rispetto ai materiali tecnologici, come: il vetro, l’acciaio, la plastica, che mirano a trasmettere il senso di trasparenza e leggerezza quasi inafferrabile, i materiali naturali possiedono lo spessore, il peso, la trama che manifesta la loro solida presenza, spesso rafforzata anche dalla patina del tempo.

Recentemente è stato visto che tali considerazioni sono valide anche per il sistema uditivo.

Si è scoperto che anche ascoltando il suono di un oggetto entro il nostro spazio peripersonale (che è quello fino a 10 cm intorno a noi) viene richiamata una simulazione motoria verso quella stessa posizione spaziale.

Dunque, la percezione dello spazio avviene su vari livelli sensoriali ed è basata sul movimento.

Facendo un salto nel passato possiamo rivedere la teoria dell’Einfühlung, che ha in parte anticipato queste intuizioni già alla fine dell’800.
Questa ritiene che le proporzioni e la forma dello spazio che osserviamo ci consentono di sperimentare la forza di gravità che agisce su di esso, e pertanto lo leggiamo in termini di peso e di equilibrio.

In pratica giudichiamo l’architettura per il fatto che rispecchia le “condizioni basilari della vita organica”, come se avessimo la capacità di animare e imitare le costruzioni e gli oggetti materiali inanimati.

Quindi non possiamo osservare uno spazio solo in maniera astratta, cioè in termini di geometria e prospettiva, perché noi siamo esseri “incarnati” e non possiamo rapportarci al mondo esterno prescindendo dalla presenza del nostro corpo in esso.

“La forma fisica possiede un carattere perché noi stessi possediamo un corpo. Se fossimo esseri puramente visivi, verrebbe sempre a noi negato un giudizio estetico del mondo fisico. Ma come esseri umani con un corpo che ci insegna la natura della forza di gravità, della contrazione muscolare e via dicendo, raccogliamo l’esperienza che ci consente di identificare l’aspetto della forma fisica” cit. Heinrich  Wölfflin, 1886, in Psicologia dell’architettura.

“Gli occhi della pelle. L’architettura e i sensi”; Juhani Pallasmaa; Jaca Book ed. (2007).

“L’ empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze”; Harry Francis Mallgrave; Cortina Raffaello ed. (2015).

Architecture and Neuroscience”, with contributions from: Juhani Pallasmaa; Harry Francis Mallgrave; Michael Arbib; Tidwell, P. (Ed.) (2013).

“Architecture and Empathy”, with contributions from: Juhani Pallasmaa; Harry Francis Mallgrave; Sarah Robinson; Vittorio Gallese; Tidwell, P. (Ed.). (2015).

“The Theory of Affordances” in “The Ecological Approach to Visual Perception”; James Gibson; Houghton Mifflin,  (1979)

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